Pulcinella, Tartaglia e Scaramuccia: tre protagonisti della Commedia dell'Arte

Il Carnevale è alle porte, ed anche se le regole sanitarie che contrastano la diffusione del Covid-19 ne hanno limitato fortemente i festeggiamenti, l'immaginazione ci conduce subito alle maschere più importanti e caratteristiche di questa festa millenaria. Ed è per questo che abbiamo deciso di raccontarvi la storia di tre grandi maschere di origini napoletane, Pulcinella, Tartaglia e Scaramuccia, tre protagonisti della cosiddetta Commedia dell'Arte, conosciuta anche come commedia buffonesca, o all'italiana, nata intorno al XVI secolo, a cui si deve la nascita delle maschere più importanti del nostro teatro, come ad esempio Arlecchino. Un fenomeno culturale che affonda le sue radici nella tradizione classica, e che, in una città come Napoli, ha saputo essere interpretato sulla scorta degli umori e dei caratteri tipici della gente di Partenope. 

Pulcinella: da secoli il simbolo indiscusso della città di Napoli

La maschera napoletana più importante è sicuramente Pulcinella, tra i simboli più conosciuti della città. Pulcinella, come detto in precedenza, è anche una delle maschere più importanti della Commedia dell'Arte e insieme ad Arlecchino, tra le più conosciute al mondo. Il tipico costume di Pulcinella è bianco, con camicione e pantaloni molto larghi ed una mezza maschera scura sul volto che ne esalta il naso ricurvo e che conferisce al personaggio il suo tipico aspetto grottesco.

Pulcinella incarna vari aspetti, spesso contraddittori, della cultura napoletana, quali l'esuberanza e la vitalità, la propensione agli istinti e ai piaceri carnali, l'accentuata mimica e la teatrale gestualità, ma anche l'ironia e la generosità, la furbizia ed il malinconico disincanto. Inizialmente le sue origini si ricercavano nel teatro classico e lo stesso nome, Pulcinella, dal partenopeo Pulleceniello, ossia piccolo pulcino, spesso si associava al termine osco Cicirrus, gallo. In realtà l'invenzione della maschera è da attribuire al celebre attore Silvio Fiorillo nei primi anni del '600, anni nel quale Pulcinella fece le sue prime apparizioni in campo artistico. Nel 1621 nell'opera letteraria Viaggio di Parnaso di Giulio Cesare Cortese, e nel 1622 nell'incisione del lorenese Jacques Callot i Balli di Sfessania (Pulciniello e la signora Lucrezia).

Il curriculum di Pulcinella è sterminato, poiché da quella data fino ai giorni nostri, è stato rappresentato, studiato e rivisitato da artisti, letterati, costumisti e teatranti di tutto il mondo, fino ad arrivare al grande Eduardo de Filippo e a Lello Esposito, figli illustri di Partenope. A Pulcinella sono attribuiti anche tanti motti e perle di saggezza tipicamente napoletane, come il famoso Segreto di Pulcinella, cioè una verità creduta segreta, ma che invece è sulla bocca di tutti! 

In realtà lo spirito di Pulcinella lo possiamo ritrovare in tutti i grandi esempi di napoletanità, come nei grandi affreschi umani di Troisi o nell'amara malinconia dei primi pezzi di Pino Daniele, ad esempio. Una maschera in continua evoluzione, che raccoglie e mette in scena da secoli gli spiriti e gli umori del popolo partenopeo.

La maschera di Tartaglia: da buffo servitore a giudice cialtrone

La maschera di Tartaglia, è stata introdotta, secondo lo storico Riccoboni, intorno alla metà del XVII secolo e resa nota al grande pubblico dal comico napoletano Cioppo. L'invenzione di Tartaglia trae origine dall'uso dei domestici di non utilizzare più la maschera e di cominciare ad utilizzare una propria truccatura, rappresentando, in questo modo, una sorta di caricatura del "servo liberato" di epoca barocca.

Inizialmente i suoi caratteri principali furono testa calva, cappello grigio, colletto bianco, volto rasato, occhiali azzurri, calzoni verdi a strisce gialle e calzari di cuoio giallo e soprattutto una vistosa balbuzie, da cui deriverebbe il nome: tartagliare, in italiano, è un sinonimo quasi onomatopeico di balbettare.

La maschera di Tartaglia fu portata all'apice del successo dall'attore partenopeo Fiorelli intorno al 1750, il quale ne modificò alcuni aspetti, sia nel costume che nel modo di comportarsi. Infatti il Tartaglia riformato indossava calzoni corti, un berretto ed alamari argentei. E, soprattutto, non era più soltanto un semplice servitore, ma spesso recitava il ruolo di poliziotto, avvocato, dottore o giudice. Le sue azioni erano spesso di carattere ambivalente: infatti o imbrogliava il prossimo o salvava degli innocenti, caratterizzandosi come una sorta di Robin Hood comico. La maschera di Tartaglia è arrivata grossomodo fino ai giorni nostri con ulteriori modifiche al suo costume. Furono introdotte, infatti, una parrucca bianca, un cappello a punta ed un vestito verde e poi fu attenuato il suo continuo tartagliare che risultava seccante e noioso. 

La storia di Scaramuccia, maschera napoletana

Scaramuccia fu portato al successo dall'attore partenopeo Tiberio Fiorilli, popolarissimo nel XVII secolo. Anche se è ignoto l'inventore della maschera, non si nutrono dubbi sull'origine partenopea del personaggio, che rappresentava un uomo impegnato costantemente in mille litigi e conflitti, "scaramucce" per l'appunto. Le sue radici culturali sono da ricercare nel teatro antico, in figure come il Miles gloriosus di Plauto, il soldato fanfarone, che fu più volte replicato nei secoli a venire, con le varie versioni del personaggio del Capitano. Un uomo vanaglorioso e bugiardo, che a parole compiva grandi imprese, ma che nella realtà era destinato costantemente alla sconfitta. Un tipo teatrale che ebbe un grande successo anche in ambito europeo, al punto da essere recepito dal teatro francese col nome di Scaramouche e di essere portato sulla scena dal grande Molière. Il costume originale di Scaramuccia era interamente nero, con tanto di cappellaccio e spada: il Fiorilli lo modificò, rendendolo ancora più caricaturale, con l'introduzione del berretto e della chitarra. Un elemento che sottolineò ulteriormente la malsana abitudine di Scaramuccia di "cantar balle".