Il patrimonio artistico presente a Napoli ha pochi eguali nel mondo. La quantità, ma soprattutto, la qualità dei siti culturali presenti in città riesce a custodire un numero di capolavori incredibile. Stupisce soprattutto la varietà artistica, visto che si va dalle sculture ai dipinti, dall'arte classica a quella contemporanea

Per l'occasione, abbiamo provato a selezionare 5 capolavori in particolare. Si varia da sculture uniche a dipinti di una bellezza profonda e inestimabile. La difficoltà è stata enorme, vista la vasta scelta, ma in qualche modo ce l'abbiamo fatta. Sia chiaro, non c'è nessun ordine o classifica, sarebbe impossibile anche solo pensarlo!

5. Il Vesuvius di Andy Warhol

La prima delle cinque opere che descriviamo è la più recente delle cinque. Si tratta del Vesuvius di Andy Warhol, una delle realizzazione più iconiche del più grande promotore della pop art americana. Warhol ha esposto l'opera al Museo di Capodimonte nel 1985, dove tuttora risiede. La presentazione è avvenuta insieme ad altre 17 tele dedicate allo stesso tema e realizzate con accostamenti di colori e toni contrastanti, tra gioia e dramma. 

Nell'opera Andy Warhol raffigura il Vesuvio nel momento della sua eruzione, rappresentando la grandezza e l'onnipotenza del vulcano nel pieno stile pop art. Ognuna delle tele presentate differisce per le fasi dell'evento catastrofico, ma i temi sono sempre gli stessi: l'eredità della storia dell’arte e l’onnipotenza della morte. Il fine di Warhol era quello di creare un’opera unica che richiamasse la piena vitalità della città, unita però al pericolo di distruzione incombente. Insomma, la vita contrapposta alla fine, alla morte.
Napoli ha suscitato in Warhol emozioni imperiture e uniche, e la serie del Vesuvius ne è una prova certa. 

4. Madonna con il Bambino e due angeli di Botticelli

Col secondo capolavoro restiamo al Museo nazionale di Capodimonte. Difatti, adesso parliamo della Madonna con il Bambino e due angeli, dipinto databile 1468-69 ad opera di Sandro Botticelli. Qui siamo dunque in pieno Rinascimento. Inizialmente l'opera fu attribuita al Lippi, altro artista rinascimentale. Solo successivamente alcuni studi l'hanno attribuita al poliedrico pittore fiorentino. Neanche la datazione era certa all'inizio, ma poi la caratterizzazione dei dettagli e dei volti ha portato al periodo del 1470. 

Botticelli realizzò il dipinto con tecnica a tempera su tavola con misura 100 x 71 cm. Qui troviamo raffigurati la Madonna con il Bambino sul suo grembo insieme ai due Angeli che l'aiutano. Sullo sfondo troviamo un muro che li circonda, ancora più dietro c'è un frammento di un paesaggio roccioso, che definisce gli spazi per piani scalari. I colori sono tutti molto chiari, quasi tendente al bronzeo. Il volto della Vergine è di chiara impronta del Botticelli. Infatti, è molto simile a quello presente nella Madonna dell'Eucarestia, ovvero con una testa ovale ed il mento leggermente appuntito.

3. L'Ercole Farnese

La prima delle due sculture che presenteremo in questa lista di capolavori è l'imperioso Ercole Farnese, opera di Glicone di Atene. Parliamo di una statua di marmo alta 317 cm databile al III secolo a.C. attualmente custodita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La statua è una copia dell'originale bronzeo creato da Lisippo nel IV secolo a.C. Fa parte della collezione Farnese ed è stata ritrovata a Roma alle terme di Caracalla nel 1546 priva di alcuni pezzi. Guglielmo Della Porta, allievo di Michelangelo, restaurò la scultura con le parti mancanti e anche quando si trovarono gli originali, si optò per lasciare il restauro. 

La statua lascia esterrefatti al primo impatto, vista la sua grandezza imperiale a tratti imponente. L'Ercole rappresenta la vittoria trionfale dell'uomo verso gli dèi e verso le prove che questi gli sottoponevano. Ercole, figlio di Zeus, aveva la possibilità di raggiungere l'immortalità. Egli era il salvatore dell'intera umanità, sebbene in ogni caso avesse difetti come lussuria e avidità, comuni all'uomo. Difatti, l'obiettivo di Lisippo fu quello di rappresentarlo nella sua umanità, quindi raffigurando stanchezza e fatica, visto che era intento a riposarsi su una clava.  

2. La Flagellazione di Cristo

Caravaggio è stato uno dei migliori rappresentati dell'arte occidentale di tutti i tempi, capace di influenzare la disciplina dal XVI secolo fino ai giorni nostri. Sottolineare il suo stretto rapporto con Napoli appare più che doveroso per dare ulteriore lustro alla città partenopea. Qui vi soggiornò due volte per un totale di due anni. Fa parte del primo periodo napoletano la Flagellazione di Cristo, dipinto realizzato tra 1607 e 1608 attualmente custodito al Museo Nazionale di Capodimonte. Si tratta di una delle opere simbolo della produzione matura del pittore. 

La rappresentazione iconografica del dipinto è quella classica: c'è il Cristo legato alla colonna con i tre torturatori attorno a lui. Tuttavia, è da evidenziare una novità rispetto ai canoni tradizionali. Difatti, Gesù indossa già la corona di spine, mentre la tradizione vuole che l'abbia solo dopo la flagellazione. La luce nell'arte di Caravaggio ha sempre significato salvezza. Qui è concentrata sulla figura del Cristo, come se si opponesse con forza concreta ai torturatori vestiti di ombra ed oscurità. Visti i contrasti di luci e ombre, l'opera rappresentò una novità importante per l'arte, un nuovo modo di fare pittura e di rappresentazione della realtà

1. Cristo Velato

Chiudiamo con l'opera forse più incredibile delle cinque per la sua composizione e il suo stile unico. Parliamo del Cristo Velato, scultura marmorea del 1753 ad opera di Giuseppe Sanmartino. L'opera è attualmente conservata nella Cappella di Sansevero. Il committente dell'opera fu Raimondo di Sangro, il quale incaricò Antonio Corradini. Quest'ultimo però, dopo aver ultimato una prima bozza, morì, dunque si virò poi per Sanmartino. L'incarico era quello di rappresentare Gesù Cristo coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua. Tuttavia, lo scultore napoletano andò ben oltre, dandogli una magia e dei tratti unici, quasi reali. 

In effetti, Sanmartino diede tratti tardo-barocchi all'opera, riuscendo a dare tratti quasi naturali alla scultura, scarnificando il corpo senza vita. Le pieghe del velo, così nette e profonde, definiscono una sofferenza profonda, umana. La sensazione è quella che la loro copertura quasi denudi ulteriormente il corpo, rendendolo più esposto al dolore. Il fine dell'opera intera è quello di rappresentare il destino e il riscatto dell'intera umanità. 

Attorno all'incredibile costituzione del velo, girano numerose interessanti leggende. Tra le quali, ci sarebbe quella secondo la quale alla base del processo di realizzazione del velo ci sarebbe proprio Raimondo Di Sangro, committente dell'opera. Egli era un grande alchimista, e grazie alle sue conoscenze, avrebbe adagiato sulla statua un vero e proprio velo, lasciandolo poi marmorizzato attraverso un processo chimico. In realtà, non ci sono dubbi sul fatto che l'opera sia stata realizzata interamente in marmo. A testimoniare ciò ci pensano proprio lettere e documenti del Sanmartino. Tra questi, ci sarebbe anche una sua ricevuta di pagamento firmata dal Principe e conservata presso l'Archivio Storico del Banco di Napoli datata 1752.