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Di solito il centro di una città è inteso come il luogo in cui si concentrano tutte le funzioni principali e spesso ha un valore artistico di notevole spessore artistico.

Storicamente il centro è il luogo dove si concentra il potere politico della città, ma con il passare del tempo e con il cambio di funzioni e politiche si può avere un avvicendamento di centralità all'interno dello stesso tessuto urbano cittadino: è il caso di Napoli e della sua molteplicità di centri.

Napoli: una pluralità di centri

Bisogna premettere che l'attuale conformazione del centro storico partenopeo, può essere datato intorno al periodo tra il medioevo e il vicereame spagnolo. Infatti la città greco-romana viveva già di diverse centralità divise tra il polo religioso, politico e mercantile. A Caponapoli si trovava l'acropoli religiosa, mentre nell'area di Piazza San Gaetano, nei pressi del Tempio dei Dioscuri, il Macellum (l'antico mercato di Neapolis) che possiamo immaginare simile al mercato pompeiano in cui si susseguono una serie di porticati, che ancora oggi ritroviamo lungo via dei tribunali.

Anche il porto greco rappresentava, probabilmente, un importante centro cittadino e si può ritrovare nell'area compresa tra l'attuale piazza Municipio e piazza Bovio. La centralità portuale e mercantile ampliò i suoi orizzonti durante il medioevo e si spostò verso l'attuale porto, creando un nuovo polo in piazza Mercato. La nuova piazza Mercato si proponeva come il nuovo centro del popolo di Napoli sia esso borghese o popolano tutti si immedesimavano in questo nuovo fulcro cittadino fatto di botteghe, piccole industrie e fondaci di paesi o città diversi.

Nuove centralità sorsero con la costruzione di Castel Nuovo, il cosiddetto Maschio Angioino, che realizzato nei pressi del porto medievale in un'area all'epoca poco urbanizzata si contrapponeva all'aragonese Castel Capuano, per sottolineare l'antica rivalità tra la dinastia angioina e quella aragonese. Con la vittoria degli angioini il polo creato dagli aragonesi, trovò una nuova centralità acquisendo tutto il potere giuridico e amministrativo della città.

Nel Cinquecento con il vicereame spagnolo, Napoli visse un periodo di vera e propria espansione e fortificazione iniziando a diventare la capitale di un impero che sarà fino all'unità d'Italia. Il viceré marchese di Villamarina Pedro de Toledo, nel suo nuovo piano urbanistico creò diverse centralità. A oriente la nuova burocrazia, evidenziata da Castel Capuano e dalla Torre di San Lorenzo nel centro antico, a Occidente il nuovo potere regale con il palazzo del Viceré (realizzato nel 1540 e abbattuto nella seconda metà dell'Ottocento per fare posto al nuovo palazzo reale) nel mezzo l'autonomia del popolo.

L'affermazione della piazza napoletana come il centro della città

Fino alla realizzazione di Palazzo Reale, il potere nobiliare corrispondeva con quello militare e anche l'architettura ne risentiva spesso. Infatti se da un lato di ergevano torrioni per rafforzare Castel Nuovo, dall'altro si distribuivano giardini all'italiana nei quali la vita mondana nobiliare  allietava le sue giornate. Con la costruzione del Palazzo Reale, ad opera di Domenico Fontana, l'architettura regale partenopea perde il suo valore militare e cede il passo ad un tipo di architettura civile che farà le fortune della città. La ricollocazione del Palazzo reale crea una nuova centralità tra via Toledo, Chiaia e il Chiatamone, dove si concentreranno tutte le nuove residenze nobiliari, fatte di grandi palazzi a corte.  Inoltre il suo ampio porticato creò quello che conosciamo come 'largo di palazzo' che creò una centralità aggiuntiva che richiamò diverse funzioni da quelle religiose a quelle teatrali.

Le funzioni religiose si dislocavano lungo tutto il tessuto urbano cittadino, non riuscendo a creare una vera e propria centralità, ma creando tanti poli autonomi, insediandosi in ogni angolo libero della città; tutto ciò portò all'aspra critica degli illuministi napoletani del XVIII, che additava il potere religioso cittadino, reo di bloccare il reale sviluppo urbano. Infatti sul nuovo largo di palazzo si concentrarono in pochi anni ben quattro chiese (S. Ferdinando, S. Spirito,  S. Francesco di Paola, il convento della Croce). Purtroppo i due poli religiosi rappresentati dal Duomo e dall'antica acropoli greco-romana non riuscirono mai ad affermare il proprio potere, confermando la scarsa influenza che il potere ecclesiastico aveva sulla città. 

Come suddetto con la creazione di nuove cortine edilizie nobiliari tra via Toledo, via Medina e via Chiaia si ricreava un nuovo centro della vita galante partenopea nel quale si sono innestati ben cinque teatri: il San Carlo, adiacente al nuovo Palazzo Reale, il teatro del Fondo, oggi Mercadante, nell'attuale piazza Municipio, lo scomparso San Carlino, mentre lungo l'asse di via Toledo si potevano trovare il teatro dei Fiorentini e il Teatro Nuovo.

Con l'avvento dei Borbone e in particolare con la figura di Carlo III e di suo figlio Ferdinando IV venne promosso una sorta di anti urbanesimo in cui si perdeva la centralità della città a favore di una delocalizzazione del potere regale diviso ora tra le nuove dimore di Portici, Capodimonte e principalmente Caserta sullo stile di Versailles, ma allo stesso tempo si attuò un processo di ammodernamento della trama urbana napoletana.

Il modello francese venne -difatti- adottato anche nel piano di risistemazione urbana della città. Il piano Ruffo si rifaceva al Patte parigino di 50 anni prima che, insieme agli interventi di Vanvitelli, portarono all'affermazione di un nuovo modo di intendere la piazza come luogo di centralità. Questo progetto di città, basato sui vuoti urbani, si affermò a Napoli con molto ritardo rispetto alle grandi capitali europee come Londra e Parigi. Uno dei primi interventi, promossi da Carlo III, meglio riusciti fu la realizzazione del Foro Carolino, l'attuale piazza Dante, che divenne un vero e proprio polo della città fuori le mura. Il nuovo vuoto urbano a forma di esedra, progettato da Luigi Vanvitelli, si poneva a ridosso di due porte della città: Port'Alba alla fine di via dei Tribunali e la Porta dello Spirito Santo all'inizio di via Toledo.

Questo slargo era decorato da un ampio porticato con al centro una statua equestre di Carlo III e a nord da giardini floreali ed ebbe un grande successo poiché era il confluire di diversi quartieri popolari fuori le mura e la porta di ingresso ad una parte centrale della città.

Il nuovo centro amministrativo della città di Napoli

Questa risistemazione urbana evidenziò l'inadeguatezza e l'incoerenza del largo di palazzo come centro del potere cittadino. Si presentava con un impianto triangolare, molto anti prospettico, che sembra essersi formato apparentemente in maniera casuale da episodi indipendenti, che non rispecchiava l'idea formale di stato moderno proposta dai Borbone. Si avviò quindi un piano di riqualificazione di quella che sarà successivamente nominata piazza del Plebiscito.

Il nuovo impianto si rifaceva alla grandiosità classicista di inizio Ottocento, Giuseppe Bonaparte  ordinò la distruzione delle fabbriche già realizzate nel largo di palazzo e bandì un concorso che venne attuato solo con il ritorno dei Borbone. L'idea di partenza fu di Leopoldo Laperuta e successivamente venne modificata da Pietro Bianchi, che trasformò quello che doveva essere un foro civile nella chiesa di S. Francesco di Paola, con un ampio emiciclo colonnato che riprendeva la misura della facciata del Palazzo Reale prospiciente. Ai lati del nuovo largo di palazzo vennero realizzati una coppia di edifici gemelli che racchiudeva funzioni civili e militari: il Palazzo dei Ministeri e il Palazzo del principe di Salerno. Si venne così a creare un vero e proprio vuoto urbano recintato dai suddetti corpi di fabbrica, che nasconde negli angoli le aperture di collegamento con le altre arterie urbane e il lungomare.

Il carattere simmetrico e rigoroso del nuovo impianto urbano però viene alterato dalla morfologia naturale di Napoli. Infatti appena si alza lo sguardo dalle nuove fabbriche realizzate all'inizio dell'Ottocento si può notare l'avvicendarsi delle vecchie costruzioni di case sulla collina che invade idealmente l'esedra del porticato sottostante, minando al suo equilibrio.

La nuova piazza Municipio: Napoli si rimoderna

Accanto al potere regale nella seconda metà dell'Ottocento iniziò ad affiancarsi un nuovo potere liberale che si centralizza in palazzo San Giacomo e in quel vuoto urbano che verrà poi identificato come piazza Municipio. La prima idea di risistemazione di questo episodio architettonico è Agostino Lista che nel 1839 propose di utilizzare il suolo ricavato dal sedime per tracciare nuovi isolati, raccordando la piazza a via Toledo attraverso la galleria di palazzo San Giacomo.

Dopo l'unità d'Italia, il Municipio di Napoli divenne il cuore della vita politica ed istituzionale della città. Nel 1874 avvenne la riqualificazione di piazza Municipio, che durò 10 anni e portò all'abbattimento diversi edifici tra cui il Teatro San Carlino. Nel 1874 la cortina edilizia intorno palazzo San Giacomo era già stata realizzata e quindi la risistemazione comportò perlopiù la creazione di un boulevard haussmaniano.

La riforma urbanistica che si va delineando è racchiusa nel termine "sventramento" che cerca di collegare la città da un capo all'altro. Il più famoso esempio di sventramento a Napoli è il corso Umberto che insieme a via Sanfelice e via Medina unisce la stazione ferroviaria al centro del potere cittadino.

La chiosa finale del programma di sventramento è la realizzazione della Galleria di Stefano Gasse, che secondo lo stile umbertino, riprende l'opera architettonica di Giuseppe Mengoni. L'incrocio di strade coperte si inserisce organicamente nel sistema di spazi pubblici già presenti, ma migliorandoli in parte. Infatti particolarmente riuscito è l'innesto sulla facciata del Teatro San Carlo, sia dalla prospettiva del braccio voltato che nella pausa dell'esedra porticata che crea un piccolo vuoto urbano che ben si relaziona alla facciata del teatro.


I nuovi centri di Napoli del periodo razionalista

La risistemazione si prolungò fino ai primi decenni del Novecento quando nel 1911 venne promosso un piano di risanamento in cui confluirono le aree dell'attuale piazza Carità e della futura piazza Matteotti. Siamo negli anni del periodo razionalista che ha regalato alla città un nuovo senso di centralità per il nuovo rapporto tra stato e società civile di quegli anni.

In questo stile autoritario si plasma un moderno centro direzionale per la città in cui si alternano una sfilza di uffici pubblici. Il nuovo quartiere che si delinea ha una trama stradale irregolare dovuta ai percorsi extramurali, ma che non venne stravolta col risanamento continuato anche dopo la prima Guerra Mondiale. Questa continuità tra antico e moderno si deve a Gustavo Giovannoni, che, da esperto di restauro, bel 1930 promosse un piano che aveva alla base anche la salvaguardia degli edifici monumentali e dei tracciati viari cittadini consolidati. Il processo di rinnovamento postbellico, però, si rivelò molto più radicale del previsto, grazie alla volontà del Ministero delle Comunicazioni, che nella figura di Camillo Ciano portò avanti la modernizzazione dello stato sia in termini di funzioni che di stile architettonico.

La prima opera in tal senso fu l'edificio delle poste di Vaccaro e Franzi. Nel 1929 l'edificio si erge nell'insula degli Olivetani, unendo il nuovo edificio nell'intricato sistema di chiostri già presente. L'edificio che ne risulta farà da apripista alle diverse opere limitrofe ad opera del meglio della generazione architettonica tra cui M. Canino, opere che consentono l'espressione di un modernismo, contenuto in un leggero classicismo. Questi ingredienti sono miscelati in modo che il rinnovamento razionalista si innesti nella tradizione monumentale della politica autoritaria di quegli anni.

Nel dopoguerra l'area viene completata con un processo di manhattanizzazione, che promuove  la realizzazione di alcuni edifici alti ad opera di R. Avolio De Martino e in particolare di Stefania Filo Speziale con il grattacielo della Cattolica, che conferiscono un carattere internazionale all'area ma che risultano essere degli apprezzabili episodi isolati, ma che si concretizzerà con la realizzazione del Centro direzionale durante gli anni Ottanta.