La pianta greca della città di Napoli

L’antico centro di Napoli conserva un cuore antico risalente al V sec. a.C. che si distingue in:

Città Greca (plateiai o decumani): in direzione est-ovest, è composta da una struttura regolare di strade ortogonali, corrispondenti a via Anticaglia, via Tribunali e Spaccanapoli;

Città Romana (stenopi o cardi): che si propaga in direzione nord-sud.

Le strade secondarie di Napoli sono ancora della stessa larghezza (circa 3 metri) tipica del periodo greco-romano. Per quanto riguarda le maggiori (oggi 6 metri), mettendole a confronto con le altre città di origine greca (con misure dai 12 ai 20 metri), si è pensato che probabilmente durante il medioevo ci fosse stato un restringimento.

Questa ipotesi spiegherebbe i tanti enigmi che circondano la così tanto stratificata planimetria del territorio napoletano, come per esempio il campanile romanico della Pietrasanta, che poggia su un grande arco ogivale, come a doverne consentire il passaggio. Come anche i Portici di San Lorenzo che fanno capire come sono stati invasi questi pubblici marciapiedi, con le strutture di vendita del locale mercatino, coperti con portici, su cui sono poi stati costruiti anche più piani di abitazione.


I tipi di case presenti a Napoli

È difficile riconoscere nelle attuali divisioni catastali gli originali lotti greci e non possiamo sapere se fossero uniformemente occupati da unità eguali o presentassero una certa varietà con l’aggregazione di più moduli in proprietà maggiori. Le prime case napoletane avrebbero dovuto presentare uno sviluppo su due piani con: al piano superiore gli ambienti per dormire, l’òikos (soggiorno-cucina), l’andròn (sala di ricevimento) e i locali di lavoro disposti su tre lati di una corte chiusa da un muro verso la strada ed ombreggiata da un lato porticato.

Inoltre, anche se Napoli è sempre rimasta città dalla cultura greca, non si può escludere che a un certo punto l’architettura non abbia avuto un’evoluzione, anche parziale, verso il tipo di casa romana, molto simile a quelle di Pompei. Ma di tutte le evoluzioni che si sono succedute nell’edilizia partenopea, non è possibile avere certezze, ci si può affidare solo su teorie poco documentabili.

L’unico sviluppo credibile è quello della densità edilizia: il suolo del Centro diventò col tempo sempre più prezioso. A ciò contribuì il divieto di costruire fuori dalle mura, per ragioni difensive ed indiretta politica di contenimento di una popolazione dimostratasi, con Masaniello, pronta alla rivolta.

Già nel ‘600, l’altezza dei fabbricati napoletani raggiungeva i 5 piani e stupiva il viaggiatore straniero a ciò non abituato. La scelta di costruire appartamenti tanto alti aveva ragioni politiche e sociali: venivano impiegate speciali tecniche di costruzioni capaci di raggiungere quelle altezze come il tufo, una pietra resistente ma leggera, ben legata con le malte pozzolaniche, una sorta di cemento armato naturale.

Parlare di edilizia a Napoli è molto difficile: non esistono quartieri a schiera, con costruzioni che si susseguono una uguale all’altra. Questo tipo di edilizia Napoli la vede solo nel medioevo, intorno a piazza Mercato, prima che il ruolo di capitale la eleggesse a residenza dell’aristocrazia.

Con la politica spagnola di concentrare presso la corte la nobiltà per controllarla, il Centro Antico diventò il luogo privilegiato dove costruire una casa, il cui aspetto si sarebbe dovuto distinguere e competere con gli altri pari. Il palazzo doveva essere lo specchio della famiglia a cui apparteneva, quindi gli obiettivi principali erano:

la grandiosità delle dimensioni, molto spesso molto al di sopra delle risorse effettivamente disponibili (che porta a molti incompiuti o a cantieri della durata di varie generazioni);

l’individualità: si doveva rendere evidente la singolarità della casta (spesso venivano impiegati architetti di grido per raggiungere l’ulteriore tocco della loro singolare personalità);

la complessità: per accogliere e soddisfare le funzioni della famiglia vasta (necessitava di stalle, cantine, depositi, armerie, pozzi, dell’amministrazione e dell’alloggio di una piccola azienda).

Le famiglie migliori volevano abitare tutte nella zone dei decumani, in particolare a Spaccanapoli. Per quanto riguarda la zona dei cardi, vigeva una gerarchia: di norma, quando un palazzo occupava tutta la profondità dell’isolato, finiva per affiancare sulle strade perimetrali con un fronte ed un retro, che poi veniva imitato da vicini e dirimpettai. Si sono così venute a creare strade principali (sempre larghe 3 metri) come via Nilo, via Atri o Santa Maria di Vertecoeli ed altre secondarie come vico Fico al Purgatorio, Purgatorio ad Arco, Gerolamini. Sulle prime troveremo una serie di vasti androni e monumentali facciate, sui secondi, case più modeste o perfino i muri ciechi dei giardini e terrapieni.

Un’altra caratteristica della casa napoletana è la stratificazione: la stagione dei palazzi in città ha inizio nel XIV sec. in quartiere già in gran parte costruito in epoca romana e utilizzato per tutto il medioevo, questo porta quindi a conseguenti e considerevoli trasformazioni. A Napoli nella seconda metà del ‘400 si realizza la fusione di nuovi palazzi barocchi realizzati all’interno di più immobili precedenti: l’architetto barocco preferiva l’obiettivo dell’unicità artistica dell’opera a quello della documentazione delle fasi storiche; cancellava e uniformava tutti i precedenti periodi sotto una decorazione uniforme, occultava quello che il gusto del suo tempo riteneva sconveniente ed assimilava nel nuovo organicamente le parti antiche. Rendendo così difficile, agli stessi esperti, interpretare le fasi di un edificio.


L’irregolarità della struttura cittadina

Sappiamo che alcuni stenopoi sono scomparsi, ma ciò non ci può indurre a pensare che la griglia coprisse in modo uniforme tutto il suolo urbano e che gli isolati di maggiore spessore siano risultati dall’accorpamento di unità minori. Certamente isolati maggiori esistevano in età romana per contenere funzioni pubbliche. Si ipotizza che le strade secondarie non facessero parte del primo tracciato e che gli stenopoi si aggiungessero man mano che tra le maglie più larghe si veniva a realizzare la suddivisione delle proprietà. Lo stesso criterio si utilizzava per suoli pubblici come agorà e acropoli dove, nel corso dei secoli si andarono a depositare edifici sacri e pubblici: ancor prima del disegno del piano stradale, si ipotizza che fosse stata fatta una sorta di zonizzazione, con la quale il suolo urbano veniva ripartito tra le diverse funzioni della città e poi distribuito ai cittadini per la parte riservata alle abitazioni.

Il massimo accorpamento di insule lo abbiamo nel medioevo, quando la pressione demografica era ancora contenuta ed il potere ecclesiastico fioriva: le strade della città divennero un vero e proprio collegamento tra le chiese della città. Questo senso di una città nella città lo si avverte già il Piazza Sisto Riario Sforza che si apre come uno squarcio improvviso sui tesori della cittadella, tra cui fa da protagonista la grande cupola della Cappella di San Gennaro.


Antichi luoghi centrali della città di Napoli

Nei pressi dell’attuale piazza S. Gaetano, la tradizione vuole che questo fosse il luogo dell’agorà greco e del foro romano. Qui si dice ci fossero i templi di Proserpina, Cerere e Augusto, oltre a quello individuato dei Dioscuri e una supposta basilica. Nell’XI sec. le basiliche paleocristiane si erano appropriate dei monumenti pagani, mentre sotto il limite meridionale crescevano una serie di monasteri: San Gregorio, San Pantaleone e la diaconia di San Gennaro. Nell’area del foro si riscontrano anche resti di edilizia civile medievale, come la casa dell’imperatore di Costantinopoli e le arcate del mercato lungo via Tribunali.

Le piazze maggiori sono tutte all’esterno della scacchiera, come Piazza del Gesù e Piazza San Domenico Maggiore, il che comporta una pianta irregolare. Nessuna ha avuto un esplicito disegno di spazio pubblico. La più compiuta, quella di San Domenico Maggiore è il risultato di tante architetture singole, progressivamente composte a delimitare il vuoto urbano, espressamente disegnato solo tramite la guglia e la pavimentazione del piperno.


Chiese e sagrati per le strade di Napoli

I sagrati delle chiese sono strettamente misurati alle facciate. Lo spazio dei sagrati non è mai troppo poco, sempre riempito da scaloni, terrazze, eleganti trafori di piperno e marmi, portici, campanili, cappelle.

La posizione elevata delle chiese sullo spazio pubblico non è sempre utilizzato per conferire maestà al suo aspetto, questo è un obiettivo caro al classicismo. Il barocco è più ambiguo ed usa la scala non come basamento che eleva la facciata, ma come un filtro che articola lo spazio e media tra città e luogo sacro.

Quando non si riesce a scavare un vuoto frontale, un’altra risorsa è liberare il fianco della chiesa con delle soluzioni di innesto di tre quarti del monumento nello spazio urbano. La Chiesa di S. Agostino alla Zecca è un caso esemplare in cui le difficoltà topografiche ed urbanistiche possono essere trasformate in buoni risultati di architettura: l’impossibilità di creare un sagrato non scoraggia dall’elevare una poderosa facciata, che potrà essere vista solo di scorcio da chi proviene da via Tribunali, da una posizione elevata perché la strada è in discesa. La visione dello scorcio è particolarmente adatta alle facciate barocche, dove le sue cornici e i suoi oggetti sinuosi ben si sposano con i giochi di luce e l’effetto chiaro-scuso.

La griglia densifica lo spazio urbanistico e la sua qualità. Paradossalmente, le piazze di maggiore estensione nuocciono ai loro monumenti. La chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova è troppo appartata e sproporzionata rispetto all’omonimo largo, da apparire piuttosto come uno dei tanti elementi della cortina, invece che il suo punto focale; mettendosi poi in competizione con la facciata del Vescovato su cui la piazza è esattamente misurata.


Alterazioni e restauri della Griglia Regolare di Napoli

Il movimento urbanistico di riforma della città del XX sec. ha in gran parte risparmiato la griglia di origine greca, sebbene fossero state formulate molte proposte di attraversamenti per migliorare la circolazione. Il Centro Antico contava sulla resistenza della qualità della sua architettura, sebbene lo stato di conservazione soffrisse dell’abbandono dell’aristocrazia e nella borghesia migrata nei nuovi quartieri espansione: Napoli era diventata particolarmente affollata ed inoltre, il Comune soffriva di una debolezza finanziaria e organizzativa e della parallela scarsa capacità d’iniziativa dell’imprenditoria, che non poteva contare su una domanda di mercato sostenuta ed orientata a prezzi alti.

Faticosamente si realizzarono le poche alterazioni con ampliamenti stradali, senza toccare la regola urbanistica, sebbene la trasformazione dell’edilizia lungo la cortina fu massiccia. L’ampliamento di via Duomo, per dare accesso alla Cattedrale, fu deciso da Garibaldi nel suo breve periodo di governo, ma completato solo per la fine del secolo. Dopo il secondo conflitto mondiale, si vengono ad avere ampliamenti di altri strade che puntano però più alla necessità che alla qualità, dando vita a condomini molto squalificanti.

È con lo sviluppo della cultura della conservazione, insieme ad una migliore percezione e coscienza del valore dei beni storici, le operazioni edilizie nel Centro Antico sono sempre più orientate al restauro. Dopo il terremoto dell’80, la preoccupazione per un assetto statico dei fabbricati ha spinto ad una diffusa opera di consolidamento. Un vasto patrimonio è stato restaurato e, successivamente, reso accessibile o utilizzato per nuove attività o servizi pubblici.