Jago, lo scultore social

Jago, all’anagrafe Jacopo Cardillo, nasce a Frosinone nel 1987. Qui frequenta il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti, che in seguito deciderà di abbandonare.

A soli 23 anni realizza un busto in marmo dell’allora Papa Benedetto XVI. Decide di presentare questo busto al Vaticano che però non viene accettato, perché non volevano che il papa venisse rappresentato senza occhi. Nonostante ciò, l’opera non passa inosservata e l’anno dopo, nel 2010, viene selezionato da Vittorio Sgarbi per far esporre la sua scultura durante la 54esima Biennale di Venezia.

La cosa non piace alla sua Accademia: il suo professore fa opposizione e pone il veto ad accettare l’invito. Jacopo non si fa intimidire ed espone la sua opera pagandone le conseguenze: un forte ostruzionismo che lo convince, l’anno successivo, ad abbandonare gli studi. Da lì, però, comincia il suo percorso verso il successo!

Nel 2013 Jago realizza una delle sue opere più significative: “Habemus Hominem”, realizzata dopo le dimissioni di Papa Ratzinger. Riprende il busto originale realizzato nel 2009 e lo scolpisce nuovamente rappresentando il Pontefice nudo e stavolta aggiungendovi gli occhi.

Definito l’artista social, Jago mantiene un rapporto vivo e diretto col suo pubblico mediante l’utilizzo dei social network, dove ogni giorno coi suoi post e le sue story aggiorna i suoi follower sul suo lavoro. In antitesi con l’idea romantica dell’artista morto di fame, Jago è determinato a restituire alla categoria un’immagine imprenditoriale.

Nel 2019, in occasione della missione Beyond dell’ESA (European Space Agencies), Jago è il primo artista ad inviare una scultura in marmo sulla stazione spaziale internazionale. La scultura intitolata “The First Baby”, raffigurante il feto di un bambino, tornerà sulla terra a febbraio 2020 sotto la custodia del capo missione, Luca Parmitano.


Le radici di Jago nel Rione Sanità

La ricerca artistica di Jago fonda le sue radici nelle tecniche ereditate dai maestri del Rinascimento. La sua passione e legame per la città di Napoli la si ritrova proprio nella sua passione per le famose sculture custodite in Cappella San Severo, tra tutte il famosissimo Cristo Velato, simbolo scultoreo per eccellenza della città partenopea.

Ed è da qui che nasce il legame fra questo giovane prodigio della scultura internazionale e Napoli. Nel 2018 a seguito dell’esposizione alla fiera d’arte internazionale Armony Show di Manhattan, Jago si trasferisce a New York per realizzare l’opera intitolata Figlio Velato. Come per l’opera del Sanmartino, gli orrori del nostro secolo sono nascosti sotto un velo. Al posto del Cristo, Jago vi pone una figura più laica: un bambino senza vita che sta a simboleggiare come l’innocenza oggi arrivi a morire sempre più in fretta e quanto poi sia difficile da recuperare.

L’opera è stata fin da subito destinata a Napoli, dove è esposta permanentemente nel quartiere Sanità all’interno della Cappella della Chiesa di S. Severo fuori le mura. Grazie a questo gesto, Jago è stato subito sostenuto da padre Antonio Loffredo che gli ha aperto le porte dell’antica chiesa ormai chiusa al culto di Sant’Aspreno ai Crociferi, nel borgo Vergini.

Ed è qui che ha davvero inizio un legame forte ed indissolubile fra Jago e Napoli, in particolare col Rione Sanità. Rientrato in Italia da New York, l’artista ha eletto il Rione suo domicilio di “studio” e di vita.

“Volevo fare un salto di qualità”, ammette sorridendo Jago. E prosegue dicendo che “il Rione sarà la Manhattan del futuro. Qui c’è un capitale umano e artistico con un potenziale incredibile”.

La sua presenza nel rione è simbolo di grande luce e speranza, non solo artistica ma anche sociale. In pochi mesi, quello che era un ex luogo di culto, abbandonato e degradato, si è trasformato nel laboratorio di uno scultore, che a sua volta l’ha aperto ai ragazzi del rione. Donando alternative alla violenza e puntando la luce su chi non ha nulla.


Il Rione sarà la Manhattan del futuro. Qui c’è un capitale umano e artistico con un potenziale incredibile.
Jago

L’abbandono del bambino nella notte

Nella notte del 5 novembre 2020 è “apparsa” a Napoli, più precisamente in Piazza del Plebiscito, un’opera in marmo dello scultore Jago, intitolata Look-down. Un gioco di parole significativo per quello che è stato un anno di inquietudine, segnato dal lock-down e dalla pandemia.

Ma andiamo insieme a scoprire chi è questo scultore contemporaneo, il suo legame con Napoli e il perché di porre questa sua opera, del valore di un milione di euro, nella piazza più famosa della città.


Look-Down: un bimbo chiamato Homeless

Un metro e sessantacinque di marmo bianco lasciato nel cuore della città. Un gesto volutamente provocatorio di Jago, reso possibile grazie all’aiuto della Fondazione San Gennaro di Napoli, da sempre impegnata nel rilancio e valorizzazione del Rione Sanità.

Look Down ha preso la forma di una grande istallazione pubblica. L’opera rappresenta un neonato dagli occhi stanchi e chiusi che si chiama Homeless. All’altezza del suo cordone ombelicale vi è posta una catena, scelta come simbolo di chi è incatenato alla propria condizione.

La scultura era stata pensata quando Jago era ancora a New York e vedeva senzatetto ad ogni angolo, che passavano completamente inosservati dinanzi all’indifferenza della gente. “I neonati sono indifesi e lo sono anche loro”.

Da qui la pandemia e i problemi sociali che sono andati a susseguirsi. La scultura di Jago e la sua installazione in Piazza del Plebiscito danno così vita a Look Down: una denuncia della condizione fragile di un’intera fetta di società schiacciata dalla crisi economica, ma anche un invito a rivolgere uno sguardo verso il basso…verso gli ultimi!

Il bambino vulnerabile è stato anche purtroppo vittima di un episodio vandalico ad opera di adolescenti che hanno condiviso un video su TikTok dove prendevano a calci la scultura. Ma questo episodio negativo ha in realtà un risvolto positivo…

Jago dopo aver assistito al video ha deciso di invitare i ragazzi al suo studio. Rintracciati sui social dall’associazione di padre Antonio Loffredo, inizialmente con diffidenza ne accettano poi l’invito.

L’artista li ha invitati a guardare le sue opere e a fargli capire il lavoro che c’è dietro e così a comprenderne la magia che l’arte crea. Gli adolescenti si sono scusati e ne sono usciti appassionati ed incuriositi, tanto che lo scultore li ha invitati a tornare ogni volta che volessero.

Jago con la sua arte e gentilezza è riuscito a creare un ponte! L’incontro speciale non dovrà perdersi. Istituzioni e welfare possono dare un’opportunità a questi ragazzi annoiati che vedono davanti a sé solo abbandono e violenza.